martedì 9 giugno 2015

La teoria dei colori: Zur Farbenlehre



La teoria dei colori di Johann Wolfgang von Goethe


1Massimo Corradi
1Dipartimento di Scienze per l’Architettura – Scuola Politecnica, Genova, corradi@arch.unige.it


«Quelli che compongono con luci di colori la luce unica
ed essenzialmente bianca, sono i veri oscurantisti».
(Goethe, Massime e riflessioni)

1. Introduzione

Johann Wolfgang von Goethe (1749 - 1832), uno tra i più importanti autori e poeti di tutti i tempi, definito come l’ultimo genio rinascimentale, è stato non solo un grande letterato, ma anche un pittore, uno scienziato e un pensatore a “tutto tondo”. Nel saggio Zur Farbenlehre (“Della Teoria dei Colori”) [1] illustra la sua teoria scientifica – o come l’hanno considerata alcuni detrattori “prescientifica” - sui colori e sulla loro percezione che, nelle sue intenzioni, doveva rappresentare un nuovo modo di interpretare non solo l’ottica, ma la fisica e, più in generale, la scienza. Si tratta di uno scritto che si discosta molto dalle sue composizioni letterarie, anche se ne contiene al suo interno lo stile poetico associato però a una visione scientifica, e mette in risalto la complessità del fenomeno cromatico e l’ingerenza non trascurabile che ha l’organo della vista nei confronti della percezione luminosa e della sua traslitterazione nel colore. Nondimeno, approfondendo l’azione sensibile e etico-morale del colore, e la sua funzione estetica e artistica, Goethe si pone in contrapposizione, in una “onorevole contesa”, alla visione Newtoniana strettamente scientifica del fenomeno, ridando dignità sensibile e poetica al fenomeno fisico. In questa breve esposizione si vuole affrontare la critica Goethiana alla teoria della luce e del colore di Newton, facendo notare il grido di protesta contro ciò che Goethe ritiene una insopportabile e inconcepibile tirannia della matematica e della fisica, nel caso particolare dell’ottica, riconoscendo - attraverso una visione che possiamo certamente definire puramente romantica del fenomeno - che i colori sono qualche cosa di vivo e di umano, e che trovano la loro completa giustificazione fenomenologia in quella macchina fisica che è l’occhio umano e nel meccanismo della visione, ma anche e soprattutto nella spiritualità e nell’animo dell’osservatore, con una metrica di giudizio che seppure deve generalizzare in forma universale, deve tuttavia conservare quella sfumatura che è l’interpretazione personale.

2. Zur Farbenlehre

Il saggio di Goethe, pubblicato nel 1810, contiene alcune delle prime descrizioni pubblicate, ad esempio, su fenomeni come ombre colorate, rifrazione e aberrazione cromatica. Tale scritto esercitò una forte influenza su numerosi artisti, sulla pittura di Philipp Otto Runge (1777 – 1810), Joseph Mallord William Turner (1775 – 1851), i Pre-Raffaeliti, Wassily Kandinsky (1866 – 1944), Paul Klee (1879 – 1940), e molti altri, e trovò anche un ampio interesse e forte curiosità in studiosi di differenti discipline quali filosofi e fisici; tra i filosofi, Arthur Schopenhauer (1788 – 1860) – che all’età di 28 anni pubblicò un interessante trattato sulla visione dei colori (Über das Sehn und die Farben) -, Ludwig Wittgenstein (1889 – 1951), Rudolf Steiner (1861 – 1925), tra i fisici Thomas Johann Seebeck (1770 – 1831), Hermann von Helmholtz (1821 – 1894), Werner Heisenberg (1901 – 1976), e infine tra i matematici Kurt Gödel (1906 – 1978) e Mitchell Feigenbaum (1944 - ).
Il libro di Goethe è uno studio sulla percezione del colore che si pone in contrapposizione alla teoria scientifica di Isaac Newton, e che lo stesso autore tedesco relega nell’ambito delle verifiche sperimentali dei fenomeni di percezione sensitiva. Il tema affrontato da Goethe non riguarda il lato ‘meccanicistico’ dell’argomento, il colore come fenomeno di oscillazione elettro-magnetica piuttosto che pigmento chimico-fisico, quanto piuttosto la percezione fisico-sensoriale del fenomeno da parte dell’uomo, ponendo una differenza sostanziale tra l’oggetto fenomenico, lo spettro ottico, così come era stato osservato da Newton, e quello percettivo- sensoriale del colore conoscibile nell’esperienza attraverso i sensi, tema che sarà poi oggetto di studio da parte di Wittgenstein [2] nella sua esegesi del testo di Goethe. Un’anticipazione della metodologia fenomenologica, come osserva Giulio Carlo Argan (1909 - 1992) nella prefazione alla Farbenlehre [3] del poeta tedesco.
Goethe espone la propria teoria riguardante i colori, analizzando le proprietà, le caratteristiche e i fenomeni con cui essi si manifestano. Nella prima Sezione parla dei colori fisiologici e di quelli patologici che riguardano soprattutto la luce e l’oscurità e gli effetti che provocano sull’occhio; per esempio le immagini, le ombre colorate, e per quanto riguarda i primi gli aloni soggettivi, mentre in merito ai secondi si limita solo a una descrizione di ciò che può essere conosciuto esperienzialmente. Nella seconda e terza Sezione distingue i colori fisici (suddivisi in diottrici, catottrici ossia relativi alla riflessione della luce, parottici, ossia relativi a una visione extra-retinica, epottici di carattere metafisico) da quelli chimici analizzando, per esempio, fenomeni come la rifrazione, anche in assenza di manifestazione di colore, la fissazione e la trasmissione del colore, le immagini grigie e colorate, l’acromaticità e l’ipercromaticità; la Sezione quarta è dedicata al ‘cerchio dei colori’ (energia, determinazione, mescolanza, intensificazione, compiutezza della manifestazione, scomparsa e durata del colore); nella sezione successiva del libro (Sezione quinta) espone infine le proprie considerazioni circa i rapporti di prossimità con altre discipline (filosofia, matematica, tecnica della tintura, fisiologia e patologia, storia naturale, fisica generale e teoria del suono) e, infine, nella Sezione sesta tratta degli effetti sensibili-morali e storico-culturali del colore.
La nota che introduce la posizione di Goethe è illustrata in questa osservazione al pensiero di Newton che nel suo trattato sull’ottica del 1704 [4] aveva mostrato che il bianco, in sostanza il colore/non-colore, contempla in sé tutti i colori componenti la gamma e che questo fenomeno è visibile quando un fascio di luce diretta attraversa un prisma. Goethe era convinto che tutti i colori fossero contenuti nella luce, e non aveva alcun minimo motivo per dubitare di questo, tuttavia, scrive, a questo proposito: «Ma come io rimasi stupito, come guardando un muro bianco attraverso il prisma, esso era rimasto bianco! Che solo soltanto osservando da qualche zona buia, esso mostrava un certo colore, poi finalmente, attorno al davanzale della finestra tutti i colori brillavano ... Non ci volle molto tempo che io capii che c’era qualcosa di significativo sul colore che doveva essere compreso, e io ho parlato d’istinto ad alta voce, [dicendo] che gli insegnamenti di Newton erano falsi» [5]. La prova esperienziale di Goethe lo illumina sulla necessità di definire il confine tra il chiaro e lo scuro, quella linea immaginaria che unisce due fenomeni antitetici per formare il colore.
Secondo Goethe, il fatto che non si percepiscono i colori in assenza di luce non significa che i colori siano i componenti della luce bianca. L’occhio percepisce i colori, ma non lo spazio ossia la luce che li contiene, dunque si ha una soggettività percettiva, una arbitrarietà nella percezione del fenomeno conseguenza di un processo di interpretazione fenomenologica da parte della mente umana. Goethe afferma che Newton aveva commesso un errore nell’esperimento del prisma ottico [6], e nel 1793 il poeta tedesco aveva formulato le sue argomentazioni nel saggio Über Newton Hypothese der diversen Refrangibilität [7], cominciando ad affrontare il problema da un altro punto di vista e rimarcando l’importanza dell’aspetto fisiologico dei colori [8]. Nell’introduzione storica al suo saggio, Goethe ricorda che già il matematico francese Louis Bertrand Castel (1688 - 1757), nel 1740, aveva pubblicato una forte critica alla descrizione dello spettro dei colori da parte di Newton [9], mostrando che la sequenza dei colori divisi dalla ‘mediazione’ del prisma dipende dalla distanza dal prisma stesso, e sottolineando quindi che la teoria dello scienziato inglese era sostanzialmente basata sull’osservazione di un caso particolare [10]. Una posizione forte quella di Castel, peraltro ripresa da Goethe il quale nega che la luce incolore possa produrre colori: «La teoria che abbiamo enunciato contro questa [quella di Newton, n.d.t.] inizia con la luce incolore, e si avvale di condizioni esterne, in grado di produrre fenomeni di colore; e riconosce valore e dignità a queste condizioni. Non è necessario attribuire lo sviluppo dei colori dalla luce, ma piuttosto cercare di dimostrare con innumerevoli esempi che il colore è prodotto dalla luce ma anche da quello che a essa si oppone [il buio, n.d.t.]» [11]. Come abbiamo accennato, la critica di Wittgenstein fu feroce: «Goethe’s theory of the constitution of the colours of the spectrum has not proved to be unsatisfactory theory, rather it really isn’t a theory at all. Nothing can be predicted with it. It is, rather, a vague schematic outline, of the sort we find in James’s psychology. Nor is there any experimentum crucis which could decide for or against the theory» [12].
La cosiddetta “teoria” di Goethe è, tuttavia, una forma interpretativa di un fenomeno fisico legata a fattori conoscitivo-sensoriali volti a una interpretazione immaginativo-simbolica. L’intento di Goethe è, infatti, «ritrarre piuttosto che spiegare» [13]. Goethe colleziona prove sperimentali a supporto di una sua visione del colore che va oltre il fatto strettamente scientifico, e dunque tralascia l’analisi dei fenomeni fisici come le lunghezze d’onda o le particelle, senza la necessità di addivenire a un unico experimentum crucis che potrebbe provare o confutare la sua teoria, ma si propone di cercare attraverso altre forme interpretative il carattere essenziale del colore. Come scrive Seamon [14] «il punto cruciale della sua teoria del colore è [soprattutto] la sua fonte esperienziale», un “delicato empirismo” (zarte Empirie). Infatti, l’appunto principale che Goethe muove a Newton è quello di «fidarsi della matematica invece che delle sensazioni del suo occhio», e afferma che è necessario rimanere fedeli alla percezione senza ricorrere a spiegazioni fisico-matematiche della realtà naturale, in quanto i fenomeni stessi sono la teoria. Questa impostazione teoretico-sensoriale-esperienziale suscitò la vemente critica di Schopenahuer. Il filosofo tedesco sottolineò come il lavoro di Goethe fosse solo una raccolta di dati, come peraltro è citato nel titolo della sua opera; una raccolta importante, completa e rilevante, un materiale cospicuo per procedere alla formulazione di una teoria del colore ma nulla di più. Schopenhauer rimarcò ancora che Goethe non ha fornito una vera spiegazione della natura essenziale del colore, ma in realtà solamente postulato come avviene un fenomeno, una presentazione sistematica dei fatti, che ci racconta come nasce il colore, non quello che è, e si ferma a questa unica caratterizzazione. Questo, peraltro, era stato affermato dallo stesso Goethe che, nel suo saggio del 1772 [15], aveva scritto che l’esperimento è mediatore tra soggetto e oggetto sottolineando come l’essere umano stesso, nella misura in cui fa buon uso dei suoi sensi, dà la più esatta descrizione di un fenomeno fisico. A titolo di esempio si rileva che, a differenza dei suoi contemporanei, Goethe non vede il buio come assenza di luce, ma piuttosto come l’opposto che deve interagire con essa; in questa contrapposizione buio-luce, il colore diventa lo strumento di interazione che ne stabilisce la gradazione, e le ombre sono parte della luce stessa. Secondo Goethe, la luce è la più semplice, più indivisa, più omogenea cosa che noi conosciamo e pertanto si deve per necessità confrontare con il buio, e pertanto egli caratterizza il colore come una combinazione dinamica di buio e luce. L’oscurità è un nulla completo, la luce non trova resistenza nelle tenebre, ma l’oscurità può indebolire la luce, come la luce può limitare l’energia del buio [16]. «Anche qui possiamo dire che un bianco che si scurisce, che si intorbida, diviene giallo; il nero che si schiarisce diviene invece azzurro» [17].

3. «La chiarezza è una giusta distribuzione di ombre e di luci»

«... essere stato l’unico del mio secolo che ha visto chiaro in questa difficile scienza dei colori, ebbene sì, di questo vado fiero, e sono cosciente di essere superiore a molti saggi» [18]. La comprensione della verità è l’obiettivo di Goethe. Egli afferma che esistono ambiti della conoscenza che sfuggono, a causa della propria natura intrinseca ed estrinseca, e alla loro interpretazione attraverso lo strumento della matematica; uno di questi è proprio l’interpretazione del fenomeno dei colori: «Io riverisco i matematici … però non approvo che si voglia far abuso delle cose che non appartengono al loro campo e dove questa nobile scienza diviene assurda, come se esistesse solo ciò che può essere dimostrato matematicamente!» [19] La questione dell’interpretazione fenomenologica dei colori secondo Goethe mette in evidenza una sua personale visione del mondo illuminista, che non può prescindere di fatto da una mediazione romantica della verità di ragione, la prosa del fenomeno fisico si muta in poesia.
Il colore deve essere compreso globalmente nella sua interezza di fenomeno percettivo e non solamente fisico-matematico, e dunque non solo analiticamente, pertanto il fatto visuale è un fenomeno sostanzialmente sensuale. La percezione dei colori dipende dall’equilibrio che esiste tra luminosità e oscurità: nell’oscurità tutto è nero e viceversa niente si può distinguere se la luminosità è eccessiva. L’origine dei colori sta nell’oscurità e nella luce, il giallo e il blu sono i colori che si trasformano e consentono di arrivare alla nascita del colore “finale”, il rosso, per intensificazione di ognuno di essi [20]. Il rosso, è il risultato dell’oscuramento del giallo e l’attenuazione verso il chiaro del blu. I tre colori intermedi (il verde, il viola, l’arancio) completano la gamma cromatica dello spettro dei colori e sono la trasformazione dei tre colori principali; infatti, il giallo, proviene dalla luce, e l’azzurro dall’oscurità; essi si mischiano per dare il verde e si intensificano per dare l’arancio e il viola, per giungere infine al rosso. Si tratta di quella che si potrebbe affermare essere una “teoria genetica” dei colori, che Goethe oppone al metodo sperimentale di galileiana impostazione e applicato da Newton. La scomposizione spettrale della luce bianca in sette colori essenziali, tra i quali egli aggiunge l’indaco, quasi a voler scandire una analogia tra la gamma cromatica dei colori e quella musicale delle note. Goethe, tuttavia, esclude ogni possibile equivalenza tra colore e suono «Colore e suono non si possono in alcun modo paragonare. … Entrambi sono azioni elementari e generali, operanti secondo la legge universale del dividere e del tendere alla riunione, del dirigersi ora verso l’alto ora verso il basso, dello spostarsi ora su questo ora su quel lato della bilancia, ma su lati interamente diversi, in modi diversi, poggiando su elementi intermedi diversi, rivolti a sensi diversi. … la musica … nasce per vie empiriche insolite, casuali, matematiche, estetiche e geniali» [21], ma nondimeno la sua Farbenlehre svolse un ruolo importante nella teoria e nella pratica musicale, come ha rilevato Gareth Cox [22] nell’opera del compositore austriaco Anton Ebern (1883 – 1945). La scomposizione spettrale è, ancora secondo il poeta tedesco, la sintesi esperienziale dell’opera pittorica, come per esempio nella pittura di Leonardo da Vinci dove si distinguono fortemente i colori della luce (il giallo e il rosso) da quelli dell’ombra (l’azzurro e il verde). Goethe oppone alla sperimentazione empirica strumentale della luce, la percezione e l’osservazione sensoriale “naturale” degli oggetti e delle loro tonalità cromatiche, sottoposti alla luce. Un ‘metodo’ di interpretazione del fenomeno fisico più legato alla obiettività che alla soggettività, e basato dunque sulla qualità della percezione. L’obiettività della percezione è naturale e universale, la soggettività della percezione è invece strumentalizzata e conseguenza della ‘cultura’ scientifica che chiede sempre e unicamente conferme strumentali al fine di affermare la sua “universalità” e la sua “obiettività” anche se in disaccordo con la percezione comune [23].
Gli studi di Goethe sul colore partono da una serie di esperimenti che prendono in esame gli effetti ‘torbidi’ provocati nell’aria da agenti come la polvere e l’umidità, e come questi Urphänomen (fenomeni primari) intervengono sulla percezione della luce e del buio. La luce osservata attraverso un mezzo torbido appare di colore giallo, e le tenebre osservate attraverso un mezzo illuminato sembrano ai nostri occhi di colore blu. L’alto livello di luce, come ad esempio quello del sole è, secondo Goethe, per la maggior parte incolore. Ma se noi osserviamo questa luce attraverso un mezzo leggermente denso essa ci appare gialla. Se, poi, la densità di tale mezzo aumenta vedremo la luce gradualmente assumere un colore giallo-rosso, che aumenta fino a raggiungere la tonalità rubino, rosso intenso, limpido e brillante. Se d’altro canto il buio è visto attraverso un mezzo semitrasparente, ad esempio illuminato da una fonte di luce che lo attraversa, allora ci appare di colore blu. Questo colore diventa più leggero e più pallido con l’aumentare della densità del fluido, ma al contrario ci apparirà più scuro e più profondo all’aumentare della trasparenza del mezzo. In un leggero stato di penombra in trasparenza assoluta, supponendo sempre un mezzo perfettamente incolore, il blu profondo si avvicina al viola. Quando osserviamo la luce attraverso un prisma, l’orientamento del confine luce-buio rispetto all’asse del prisma diventa allora significativo per l’interpretazione del fenomeno. Quando osserviamo il colore bianco sopra un confine buio, possiamo riconoscere che la luce estende la sua gamma di colori dal blu-viola al “buio”, e se gli associamo il significato latino del termine “burius” diventa proprio rosso scuro. Viceversa, l’osservazione del buio sopra un contorno chiaro mostra la luce che vira al colore rosso-giallo, verso il chiaro. Il confine di percezione diventa allora fondamentale, per Goethe, per la creazione dello spettro dei colori; lo spettro risulta pertanto un fenomeno composto dalle condizioni ambientali, dalle differenti gradazioni di ombre, e di grigi, che incidono sull’intensità dei colori stessi e, a seconda del contorno luminoso rispetto al quale sono osservati, la percezione del fenomeno da parte dell’occhio muta sensibilmente.
Poiché il fenomeno del colore si basa sull’adiacenza tra luce e buio, ci sono allora due modi per produrre uno spettro luminoso: con un fascio di luce in una stanza buia, e con un fascio scuro (cioè un’ombra) in una stanza piena di luce. Goethe ha registrato la sequenza dei colori proiettati a varie distanze da un prisma per entrambi i casi, e ha osservato che i bordi gialli e blu sono più vicini al lato illuminato, mentre i bordi rossi e viola sono più vicini al lato buio. A una certa distanza questi si sovrappongono e si ottiene lo spettro dei colori di Newton. Quando i bordi si sovrappongono in uno spettro luminoso si ottiene il colore verde; quando invece si sovrappongono in uno spettro scuro non si producono colori spettrali. Con uno spettro di luce che esce dal prisma, Goethe osserva un raggio di luce circondato dall’oscurità e i colori giallo-rosso che si manifestano lungo il bordo superiore, mentre i colori blu-violetto si osservano lungo il bordo inferiore. Il colore verde si riscontra, invece, nel mezzo del fascio luminoso solo quando i bordi blu-violetto si sovrappongono ai bordi giallo-rosso. Con uno spettro scuro (ad esempio un’ombra circondata di luce), si osservano i colori viola-blu lungo il bordo superiore, e rosso-giallo lungo il bordo inferiore. Goethe afferma che quando l’occhio umano vede un colore è, per sua natura, immediatamente e spontaneamente eccitato dal fenomeno visivo, e contemporaneamente percepisce un altro colore, che con quello originale, comprende tutta la scala cromatica.
Goethe propone una ruota dei colori simmetrica. Il cerchio cromatico è disposto in modo generale secondo l’ordine naturale e i colori diametralmente opposti tra loro sono quelli che evocano reciprocamente gli uni agli altri. Pertanto, il giallo richiama il viola, l’arancio il blu; il viola il verde, e viceversa; così tutte le gradazioni intermedie reciprocamente richiamano l’una l’altra; il colore più semplice quello composto, e viceversa.
Alcuni autori moderni elogiano Goethe per non aver tenuto conto dei colori non-spettrali: «For Newton, only spectral colors could count as fundamental. By contrast, Goethe’s more empirical approach led him to recognize the essential role of (non-spectral) magenta in a complete color circle, a role that it still has in all modern color systems» [24]. L’intento di Goethe è stato quello di studiare gli effetti del colore sulla fisiologia degli individui introducendo una nuova disciplina la ‘psicologia del colore’. In quest’ottica egli associa nella sua ruota dei colori le qualità estetiche del colore stesso: il rosso con la bellezza, l’arancione con la nobiltà, il bene con il giallo, il verde con l’utile, il blu con la parola, e il viola con il superfluo [25]. In questo modo il colore non diventa solo percezione di un fenomeno fisico, ma si traduce in un tentativo di interpretazione dell’animo e della psiche dell’uomo.

4. Goethe versus Newton

Le teorie del colore enunciate alla fine del diciassettesimo secolo erano sostanzialmente basate su tre modelli fenomenologici differenti: Keplero affermava che i colori erano una mescolanza di luce e ombra, René Descartes (1596 - 1650) aveva introdotto il concetto di vis luminis prodotta dalla rotazione di globuli aetherei coerentemente alla sua teoria dei vortici e nell’opera Les Météores [26], riprendendo la teoria di Teodorico di Freiberg (c. 1250 – c. 1310), aveva immaginato il fenomeno dell’arcobaleno come una conseguenza del cambiamento di direzione della luce nel passaggio da un mezzo all’altro, senza tuttavia dare una spiegazione scientifica alla formazione dello spettro dei colori. 

Fig. 1 a, b, c – (a) Il cerchio dei colori di Newton, Libro I, Parte II, Tavola III, fig. 11 [27], (b) Il cerchio dei colori di Goethe; (c) La sfera dei colori di Runge [28].

Secondo Descartes le particelle luminose spinte dal centro di un vortice verso l’esterno ruotano e tale rotazione è percepita attraverso il colore: veloce come rosso, moderata come giallo e lenta come blu. Quindi, secondo il filosofo francese, la formazione dei colori dipendeva da una 'trasformazione' di tipo meccanicistico della materia, la luce, in corrispondenza dell’urto obliquo sulla superficie di separazione tra due mezzi. Robert Hooke (1635 - 1703), invece, sosteneva che la propagazione della luce avvenisse attraverso un moto vibratorio di tipo periodico - al contrario di Newton -, e tale moto era la causa della formazione dei colori. Hooke immagina un sistema di vibrazioni prodotte dall’eccitazione dei corpi luminosi nell’etere, in analogia con quello che avviene per le onde sonore che causano la sensazione di luminosità quando colpiscono l’occhio. La luce, pertanto, deve essere un susseguirsi di impulsi sferici che si muovono in linea retta e passando da un mezzo all’altro, ad esempio dall’aria all’acqua, cambiano di direzione e danno la sensazione del colore. Esiste una differenza sostanziale tra la teoria del colore di Goethe e la teoria che, enunciata da Newton, si è consolidata nell’arco di circa un secolo [29]. La differenza sostanziale sta nei confini della ricerca: quella di Newton e dei suoi successori è stata basata sul metodo scientifico e assegna alla luce stessa la caratteristica fondamentale di matrice del colore, escludendo ogni valenza sensoriale da parte dell’uomo; Goethe, viceversa, ha fondato la sua teoria su fenomeni esperienziali basati sulla percezione del fenomeno fisico da parte dell’occhio umano [30]. Si hanno così due distinte visioni epistemologiche del problema: una strettamente scientifica (Newton), una prettamente esperienziale (Goethe) [31]. La critica Goethiana alla teoria Newtoniana è, peraltro in questi termini, molto dura: «[la] teoria di Newton … in virtù della considerazione di cui gode, ha ostacolato fortemente una libera visione delle manifestazioni dei colori» [32].
Newton afferma che la luce bianca è composta dalla somma dei singoli colori (fenomeno scientificamente dimostrabile), mentre Goethe immagina che il colore derivi dall’interazione tra luce e buio (attraverso considerazioni sui fenomeni visivi, sulle percezioni umane e non dimostrabili scientificamente).
Secondo Newton, il prisma ottico che consente di verificare lo spettro dei colori è uno strumento funzionale all’osservazione ma irrilevante rispetto alla fenomenologia o l’esistenza di colore; come esistono tutti i colori nella luce bianca, il prisma è solo uno strumento che non influisce sulla natura stessa del colore. Goethe, invece, cerca di dimostrare che se la luce passa attraverso un mezzo torbido come il prisma si ha un’alterazione del colore e dunque la materia è un fattore integrante nella formazione del colore. Riducendo sensibilmente il fascio di luce che attraversa il prisma, Goethe osserva che all’aumento dell’ampiezza del fascio luminoso non corrisponde più lo spettro dei colori. Egli osserva solo bordi rosso-giallo e bordi blu-ciano intercalati tra loro dal bianco, e lo spettro si forma solamente se questi bordi sono abbastanza vicini da sovrapporsi, questo perché il fenomeno dello spettro luminoso dei colori deriva dall’interazione tra i bordi chiari e quelli scuri.
Newton spiega la formazione del colore del bianco come conseguenza della quantità complessiva diversa di rifrazione; i raggi luminosi si mescolano insieme per creare un unico colore uniforme, il bianco appunto, verso il centro del fascio luminoso, mentre i bordi non beneficiano di questa miscela piena e appaiono con maggiori o minori componenti di rossi e di blu [33]. Sia Newton che Christiaan Huygens (1629 – 1695) avevano definito il buio come assenza di luce. Thomas Young (1773 – 1829) e Augustin-Jean Fresnel (1788 – 1827) avevano invece combinato la teoria delle particelle di Newton con la teoria delle onde di Huygens per dimostrare che il colore è la manifestazione visibile della lunghezza d’onda della luce. I fisici attribuiscono oggi alla luce il fenomeno di dualità onda-particella in relazione al moto corpuscolare e ondulatorio delle particelle.
La critica di Goethe al ‘metodo’ scientifico di Newton è forte: la riduzione della luce a un mero movimento meccanico di particelle, misurabile quantitativamente mediante il prisma, è per lo scrittore/sperimentatore tedesco del tutto erronea. Secondo Goethe, l’errore di Newton sta nel ‘dimenticare’ il ruolo svolto dai nostri sensi, dalla nostra percezione e dalla nostra capacità di elaborare il dato visivo-sperimentale; lo studio del fenomeno ottico, della visione della luce e dei colori, deve mettere in evidenza il ruolo attivo dell’occhio nella percezione del fenomeno stesso e rimarca che la luce non è una semplice ricezione di qualcosa esterno all’occhio stesso che il senso percepisce asetticamente. Non è una questione semplicemente meccanicistica legata al fatto fisico in sé, ma si tratta di un fenomeno che deve trovare un’intima connessione, un punto di equilibrio, tra soggetto e oggetto, tra uomo e fenomeno fisico. La relazione tra soggettività e oggettività del conoscere, nei termini Kantiani della questione, nell’opera di Goethe mostra il punto di passaggio tra la cultura e la visione illuministica del mondo, e quella romantica. «La Farbenlehre è forse il primo disegno di una psicologia della percezione, di una Gestaltpsychologie» [34]. La percezione è immaginazione, raccolta di informazioni, immagini, memoria acquisita e ri-elaborata dall’occhio e dalla mente umana come ad esempio avviene per i colori fisiologici, illusori, immaginari, ma secondo Goethe strumentali ai fini della percezione corretta del colore; così «si scopre che la teoria della percezione è in realtà la storia della percezione: se già la permanenza sulla rètina faceva pensare ad una memoria ottica, la capacità imagopoietica identifica l’occhio con l’immaginazione» [35].

5. Conclusioni

La ricerca di Goethe non ha ovviamente un carattere di scientificità nel senso attuale del termine, tuttavia ha influenzato sensibilmente le arti, soprattutto quelle pittoriche, per la sua caratterizzazione legata alla sensibilità umana nella percezione del colore. Tale percezione da parte dell’occhio e della mente umana diventa per Goethe strumento di interpretazione e caratterizzazione del colore, attraverso il fenomeno della luce. Goethe è stato inizialmente indotto a occuparsi dello studio del colore dalle numerose declinazioni di tonalità di colori che si riscontrano nella pittura. Durante il suo primo viaggio in Italia (1786-1788), Goethe osserva che gli artisti sono in grado di percepire il fenomeno del colore, ma non di stabilire delle regole per la sua caratterizzazione, lasciata all’intuizione e alla sensibilità dell’artista stesso. Goethe avverte questo fatto come una mancanza, una lacuna nella ‘progettualità’ della scelta della gradazione colorimetrica, e per questo motivo vuole enunciare delle regole per definire l’uso artistico del colore [36].
L’obiettivo diventa sostanziale quando diversi artisti, tra i quali Runge, cominciano a interessarsi ai suoi studi sul colore [37]. Dopo la traduzione in lingua inglese avvenuta nel 1840 da parte di Charles Eastlake (1793 – 1865), la teoria sui colori di Goethe diventa uno dei testi di riferimento nel mondo dell’arte, particolarmente tra i pre-raffaelliti. Turner studiò il lavoro dello studioso tedesco e molti riferimenti a quest’opera si possono trovare nei titoli di alcuni suoi dipinti [38], e Kandinsky la considerò una delle opere più importanti sull’argomento [39].
Il saggio di Goethe si oppone alla ‘scientificità’ della fisica sperimentale di Newton, alla sua teoria cromatica del colore dedotta da osservazioni sperimentali e deduzioni logico-speculative, rivendicando la centralità dei sensi dell’uomo nella conoscenza dei fenomeni naturali. Lo scrupolo minuzioso che Goethe mette nell’osservazione dei fenomeni legati alla luce e al colore si unisce a uno spirito filosofico di matrice illuminista, associato comunque a una visione romantica e a un amore per i fenomeni esperienziali della natura con profonde declinazioni poetiche. La teoria dei colori è un esempio luminoso di unità della conoscenza e del sapere, che nello spirito e nell’intendimento dello studioso tedesco deve superare le barriere fra letteratura e scienza e diventare così un modello per la costruzione di una nuova letteratura scientifica.
La novità della concezione scientifica di Goethe consiste nel formulare una posizione culturale in opposizione al modello che allora stava diventando dominante, che si rifà alla Rivoluzione scientifica del XVII secolo. Secondo il pensiero di Goethe il compito della conoscenza non è quello di conquistare e soggiogare la natura alla volontà dell’uomo, nei termini formulati da Francesco Bacone (1561 – 1626) e descritti nella proposizione «sapere è potere», ma altrimenti di porsi in una condizione di osservazione e ascolto della Natura e dei suoi fenomeni. La posizione dello scienziato, secondo Goethe, deve essere quella di mettersi in sintonia con la Natura stessa e di ritrovare l’unità perduta di tutte le cose, nei termini probabilmente delle dottrine mistiche di Emanuel Swedenborg (1688 – 1772), ma anche del panteismo di Baruch Spinoza (1632 – 1677).
La polemica contro Newton sulla natura della luce e dei colori è il caso esemplare che mostra una nuova concezione delle finalità e della stessa essenza del sapere e della ricerca scientifica. Il colore non è semplicemente una manifestazione della luce, che l’osservatore riceva passivamente dall’esterno, ma è anche e soprattutto una elaborazione dell’occhio e, quindi, della mente umana, e si configura nella armonia e completezza del rapporto uomo-Natura contro una scienza newtoniana oppositiva, aggressiva, utilitarista e riduzionista al fatto meramente sperimentale di un fenomeno che invece attraversa simbologia e spiritualità del nostro essere. Goethe ritiene inammissibile ridurre la fenomenologia dei colori a solamente una manifestazione ottica di un fenomeno fisico. La percezione dei colori è una successione di attimi nei quali l’uomo attraverso l’occhio assiste a un fenomeno e lo elabora con la mente percependo le differenze e le distinzioni.
La posizione di Goethe è in forte contrapposizione ad una visione strettamente matematica della scienza, o meglio, contro la pretesa della matematica di essere l’unico criterio di verità nella conoscenza della Natura. Contro la “nuova scienza” Galileiana del secolo XVII, ma anche contro il razionalismo cartesiano, che aveva offuscato lo stesso Spinoza quando questi aveva preteso di spiegare perfino l’etica con i procedimenti logici che sono propri della geometria. La ‘scienza’ di Goethe deve essere in grado di riconoscere la bellezza della Natura e dei suoi fenomeni attraverso una visione organica, armonica, spirituale; una posizione di umiltà ma anche di audacia speculativa nei confronti della conoscenza e dei saperi. La scienza non deve essere solo quantitativa, pragmatica, utilitaristica, riduzionista e meccanicista, ma deve essere una scienza illuminata da una vivida luce che proviene dal nostro essere, dalla nostra spiritualità, dai nostri sentimenti.
In conclusione, citando Plotino (203/205 – 270): «La bellezza di un colore … nasce da una forma che domina l’oscurità della materia e dalla presenza nel colore di una luce incorporea, che è ragione e idea» [40]; «Mai un occhio vedrà il Sole senza essere divenuto simile al Sole, né un’anima contemplerà la bellezza senza essere divenuta bella» [41] e per aprire uno spiraglio di ‘autorevolezza’ allo scritto di Goethe, rifuggendo da quello che è stato considerato “un serio infortunio” nell’opera dello scrittore tedesco, la sua Teoria dei colori [42], rimarca come «I colori sono azioni della luce, azioni e passioni» [43].


Note e bibliografia


[1] Goethe, Johann Wolfgang von 1810. Zur Farbenlehre. Tübingen: Cotta.
[2] Si tratta di una raccolta di note di Wittgenstein sulla teoria dei colori di Goethe, in contrapposizione al pensiero del letterato tedesco e con la volontà di formulare un tentativo di chiarimento dell’uso del linguaggio sul colore, distinguendo tra l’aspetto scientifico del fenomeno, come sviluppato da Newton, e la fenomenologia del colore di Goethe. Wittgenstein, Ludwig 2007. Bemerkungen über die Farben (edizione consultata, Wittgenstein, Ludwig 1978. Remarks on Colour / Bemerkungen über die Farben. Berkeley and Los Angeles: University of California Press. Per maggiori approfondimenti vedi: McGinn, Marie 1991. Wittgenstein’s Remarks on Colour. Philosophy, 66 (258): 435–453.
[3] Goethe, Johann Wolfgang 1974. Goethe Farbenlehre. Köln: M. Du Mont Scahuberg (ed. ital. La teoria dei colori. Milano: il Saggiatore, 1973, 2013).
[4] Mandelkow, Karl Robert 1968. Goethes Briefe. Vol. 2: Briefe der Jahre 1786-1805. Hamburg: Christian Wegner, p. 528. «Das zentrale Axiom von Newtons Farbentheorie, daß in dem weißen, farblosen Licht alle Farben enthalten seien (l’assioma centrale della teoria dei colori di Newton afferma che ci sono tutti i colori nel bianco, la luce [è] incolore) ».
[5] «Aber wie verwundert war ich, als die durch's Prisma angeschaute weiße Wand nach wie vor weiß blieb, daß nur da, wo ein Dunkles dran stieß, sich eine mehr oder weniger entschiedene Farbe zeigte, daß zuletzt die Fensterstäbe am allerlebhaftesten farbig erschienen, indessen am lichtgrauen Himmel draußen keine Spur von Färbung zu sehen war. Es bedurfte keiner langen Überlegung, so erkannte ich, daß eine Gränze nothwendig sey, um Farben hervorzubringen, und ich sprach wie durch einen Instinct sogleich vor mich laut aus, daß die Newtonische Lehre falsch sey». Goethe, Johann Wolfgang von 1887-1919. Goethes Werke. Weimar: Hermann Böhlau. II. Abtheilung: Naturwissenschaft lichte Schriften, Bd. 4, pp. 295–296.
[6] Rupprecht, Matthaei 1949. Über die Anfänge von Goethes Farbenlehre. In: Jahrbuch der Goethe-Gesellschaft, 11, 1949, p. 259.
[7] Mandelkow, Karl Robert 1968. Op. cit., p. 528.
[8] Mandelkow, Karl Robert 1968. Op. cit., p. 553.
[9] Castel, Louis-Bertrand 1740. Optique des couleurs, fondée sur les simples observations et tournée surtout à la pratique de la peinture, de la teinture, et autres arts coloristes. Paris: Briasson.
[10] Thomas L. Hankins and Robert J. Silverman 1995. Instruments and the Imagination. Princeton: Princeton University Press.
[11] «Die Lehre dagegen, die wir mit Überzeugung aufstellen, beginnt zwar auch mit dem farblosen Lichte, sie bedient sich äußerer Bedingungen, um farbige Erscheinungen hervorzubringen; sie gesteht aber diesen Bedingungen Wert und Würde zu. Sie maßt sich nicht an, Farben aus dem Licht zu entwickeln, sie sucht vielmehr durch unzählige Fälle darzutun, dass die Farbe zugleich von dem Lichte und von dem, was sich ihm entgegenstellt, hervorgebracht werde»; Mandelkow, Karl Robert 1968. Op. cit., p. 528.
[12] «Die Goethesche Lehre von der Entstehung der Spektralfarben ist nicht eine Theorie, die sich als ungenügend erwiesen hat, sondern eigentlich gar keine Theorie. Es läßt sich mit ihr nichts vorhersagen. Sie ist eher ein vages Denkschema nach Art derer, die man in James’s Psychologie findet. Es gibt auch kein experimentum crucis, das für, oder gegen diese Lehre entscheiden könnte». Wittgenstein, Ludwig 2007: op. cit., p. I-70, IIe. Cfr.: Wittgenstein, 1978.
[13] Goethe, Johann Wolfgang von 1995. Scientific Studies. In: Miller, Douglas. The Collected Works, Vol. 12, p. 57. Princeton: Princeton University Press.
[14] Seamon, David e Arthur Zajonc (eds.) 1998. Goethe’s Way of Science: A Phenomenology of Nature. Albany: State University of New York Press.
[15] Goethe, Johann Wolfgang von 1792. Trad. inglese: The experiment as mediator between subject and object. In: Goethe. Scientific studies edited and translated by Douglas Miller, vol. 12. New York: Suhrkamp Publisher, 1988.
[16] Steiner, Rudolf 1897. Goethes Weltanschauung. Wiemar: Emil Felber.
[17] Goethe, 2013, op. cit., § 502, p. 134.
[18] Conversations de Goethe avec Eckermann (intervista del 19 febbraio 1829), trad. francese di Jean Chuzeville (1930), Paris, Gallimard 1949; 1988, p. 285.
[19] Gespräche mit Goethe in den letzen Jahren seines Lebens 1823-1832. Leipzig: Brockhaus, vol. I & II 1836; Magdeburg: Heinrichshofen, vol. III 1848. Per la citazione si è fatto riferimento alla traduzione francese di Chuzeville del 1930, op. cit., p. 176. Si veda anche l’edizione a cura di Luca Bianco, con trad. di Ada Vigliani, Conversazioni con Goethe. Torino: Einaudi, 2008.
[20] Cfr. “Vues générales internes”, in Traité des Couleurs, trad. francese di Henriette Bideau, Paris: Triades, 1973. L’opera contiene la prefazione di Rudolf Steiner, del quale si può leggere l’eccellente opera scritta con “lo spirito” del suo predecessore: La science de l’occulte, trad. francese di H. & R. Waddington, Paris: Triades, 1976.
[21] Goethe, 2013, op. cit., § 748 e § 750, pp. 185-86.
[22] Cox, Gareth 2004. Blumengruß and Blumenglöcken: Goethe’s Influence on Anton Webern. In: Byrne, Lorraine (edited by) 2004. Goethe: Musical Poet, Musical Catalyst. Dublin: Carysfort Press Book, pp. 203-224.
[23] Sulla storia dei colori, la teoria di Goethe, e sulla distinzione tra colori fisiologici, fisici e chimici, si veda anche l’articolo di Manlio Brusatin, “Colori (storia dell’arte)”: «Un’opposizione radicale, di natura non scientifica, nell’ottica di Newton si manifesta con l’apparizione della Teoria dei colori  (Farbenlehre, 1810). In quest’opera, Goethe si oppone deliberatamente al carattere primario della luce bianca ed al carattere secondario delle sensazioni cromatiche. Negandogli una natura astratta, di fatto manifesta il suo interesse per la ricostruzione di una fisiologia della visione, la quale passa dalla soggettività partecipante di chi percepisce e l’apprezzamento dei colori fisici confrontati con i nuovi colori chimici. Per riassumere le posizioni di Goethe, si può dire che lui avrebbe voluto stabilire un fondamento dialettico per la “forma” della percezione dei colori, prima di contestare la pretesa unità del bianco newtoniano. Dato che il colore è indifferentemente legato alla luce e all’oscurità (il chiaro, bianco, lo scuro, nero), è la sua miscela, il grigio, che riassume e fonde in se stesso tutti gli altri colori. Goethe spiegherà che i colori possono essere fisiologici: si tratta di colori soggettivi, il cui unico intermediario è il soggetto che li percepisce; fisici: colori soggettivi o oggettivi di intensità variabile e passeggera, che si ottiene per interposizione di corpi trasparenti o traslucidi; chimici: solo colori oggettivi, si fissano su corpi e sostanze di diversa natura o sono estratti da loro» in Encyclopaedia Universalis, vol. 6, 1997.
[24] Ribe, Neil and Friedrich Steinle 2002. Exploratory Experimentation: Goethe, Land, and Color Theory. Physics Today, 55 (7), 43.
[25] Goethe, Johann Wolfgang von 1809. Farbenkreis zur Symbolisierung des menschlichen Geistes- und Seelenlebens“. «Jeder Farbe wird eine menschliche Eigenschaft zugeordnet (...). Im inneren Ring: rot – ‘schön’, gelbrot – ‘edel’, gelb – ‘gut’, grün – ‘nützlich’, blau – ‘gemein’, blaurot – ‘unnöthig’».
[26] “Diottrica, Meteore, Geometria”, in René Descartes, Opere scientifiche, II, a cura di E. Lojacono. Torino: UTET, 1983.
[27] Newton, Isaac 1704. Op. cit., Book I, Part. II, Plate III, Fig. 11.
[28] Runge, Philipp Otto 1810. Farben-Kugel oder Construction des Verhältnisses aller Mischungen der Farben zueinander, und ihrer vollständigen Affinität, mit angehängtem Versuch einer Ableitung der Harmonie in den Zusammenstellungen der Farben. Hamburg: Friedrich Perthes.
[29] Cfr.: Joseph Priestley (1733 - 1804), The history and present state of discoveries relating to vision, light and colours. London: J. Johnson, 1772.
[30] Lehrs, Ernst  2004. Man or Matter. Introduction to a Spiritual Understanding of Nature on the Basis of Goethe’s Method of Training Observation and Thought. Project Gutenberg eBook. Il ruolo attivo dei sensi nella visione dei colori si rivelò, comunque, una intuizione scientificamente valida, come dimostrarono i risultati delle ricerche condotte nell'Ottocento, da Thomas Young (1773 - 1829) e Charles Maxwell (1831 - 1879).
[31] Stephenson, R. H. 1995. Goethe’s Conception of Knowledge and Science. Edinburgh: Edinburgh University Press.
[32] Goethe, 2013, op. cit., Prefazione, p. 7.
[33] Newton, Isaac 1704. Opticks or, A treatise of the Reflections, Refractions, Inflexions and Colours of Light, Also Two treatises of the Species and Magnitude of Curvilinear Figures. London: printed for Sam. Smith, and Benj. Walford, Printers to the Royal Society.
[34] Argan, Giulio Carlo 2013. In Goethe, Johann Wolfgang 1974. Goethe Farbenlehre. Köln: M. Du Mont Scahuberg (ed. ital. La teoria dei colori. Milano: il Saggiatore, 1973, 2013), p. XVII.
[35] Argan, Giulio Carlo 2013, op. cit., p. XVIII.
[36] Sepper, Dennis L. 2007. Goethe contra Newton: Polemics and the Project for a New Science of Color. Cambridge: Cambridge University Press.
[37] Mandelkow, Karl Robert 1976. Goethes Briefe. Vol. 4: Briefe der Jahre 1821-1832. München: C. H. Beck, p. 622. «Wie die Anfänge von Goethes Beschäftigung mit der Farbenlehre veranlaßt waren durch die Frage nach dem Kolorit in der Malerei (...), so war die Anteilnahme bildender Künstler an seinen Farbenstudien für Goethe eine hochwillkommene Bestätigung des von ihm Gewollten, wie er sie vor allem von Philipp Otto Runge erfahren hat».
[38] Bockemuhl, M. 1991. Turner. Köln: Taschen.
[39] Rowley, Alison 2002. Kandinskii’s theory of colour and Olesha’s Envy. Canadian Slavonic Papers, Vol. 44, No. 3-4, pp. 251-261.
[40] Plotino, Enneadi, I, 6: Sulla bellezza, III.
[41] Plotino, Enneadi, I, 6: Sulla bellezza, IX.
[42] Troncon, Renato 2013. Goethe e la filosofia del colore. Appendice a: Goethe, 2013, op. cit., p. 221.
[43] Goethe, 2013, op. cit., Prefazione, p. 5.

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